Un Ferrari

Francesco incontra una donna, la saluta dalla sua Ferrari. Sono seduti al tavolo e lei ha una sessantina d’anni. Ha lo sguardo vispo e simpatico, quando parla sbiascica. L’emiparesi del volto le impedisce di articolare correttamente le parole producendo suoni più simili ad un Paperino sclérotico che al parlato umano. È difficile capirla. Francesco nonostante sia laureato in neurolinguistica spesso non capisce. Francesco ad ogni fonema che non capisce si sente una merda atomica. A prescindere che Francesco capisca o meno, dopo ogni frase un velo di tristezza copre gli occhi della donna. L’umiliazione è troppo profonda. Francesco lo capisce ogni volta. L’immane fatica per pronunciare parole è troppa per non essere denigratoria a prescindere dalla veicolazione del messaggio. La furia per essere riuscita a tirar fuori dalla bocca una parola che non capirebbe neanche lei nonostante l’impegno, lampante. Pervasiva.

Chiede a Francesco che cosa ci faccia lì. Francesco risponde, parlando bene, dello stesso male che li ha messi allo stesso tavolo. Francesco fa logopedia. Anche la signora ha fatto logopedia con impegno. Francesco sa che l’ha fatta con impegno, perché Francesco conosce e riconosce la frustrazione di chi ha provato e fallito. Brucia ogni volta. Ad ogni parola. Sono seguiti nello stesso ospedale ma si sono conosciuti a questo tavolo in gita. La gita è fatta di lacrime, dolore, urla e pervicacia (la determinazione non è sufficiente). I medici la chiamano fisioterapia. La signora titubante dice che Francesco cammina, Francesco mostra la sua mano; Francesco mostra la sua mano per quello che è; Francesco mostra la sua mano, la signora perplessa risponde: “Ma non è sempre. È solo quando lo fai” – “No, signora non è quando lo faccio, è…”. La signora completa la frase. Gli occhi dolci di chi ha capito ce li abbiamo entrambi.

La signora e Francesco sono seguiti dallo stesso medico. La signora chiede a Francesco della sua terapia, Francesco non risponde. L’Autore non ha il coraggio di descrivere gli occhi della donna. La signora risponde che lei solo cortisone, chiede a Francesco perché. Francesco guarda il suo amico, si sono conosciuti anche loro lì in quella valle di grida. Lui tira di scherma: categoria B: emiplegici. È diventato in fretta l’idolo di Francesco: quando si sono presentati la prima cosa che gli ha detto è: “Ci sono nato”. Patti chiari e amicizia lunga. P.C.I. Per Chi Intende: Paralisi Cerebrale Infantile. “Sarai incazzato come una iena.” – “Sì ma sono andato avanti”. Che tradotto, anche lui non parla bene (ha un accento terribile), vuol dire andare dal piccolo e lu sperduto paesino della Sicilia a Milano e laurearsi e farlo da so. Il -lo è stato omesso in quanto il pz. è emiplegico ut supra, Dottore in diritto esattoriale. Lavora all’INPS. Né lui né un dottore in neurolinguistica hanno trovato le parole per rispondere alla donna. Bruciano troppo.

Francesco aiuta a sparecchiare e si alza. Aiuta lo spadaccino ad investirsi di giacca per la camminata e gli mette la bottiglietta d’acqua, chiusa abbastanza da essere apribile, prima nel sacchetto e poi nella borsa. Poi passa il trepiede, passo dopo la stampella ma prima del deambulatore, alla signora emiplegica. Si salutano. Una Ferrari costa 320.000 €. Una singola infusione del farmaco di Francesco costa 60.000€. Un’infusione ogni sei mesi e ha iniziato 4 anni fa, al tempo della diagnosi. Sono 480.000€. Francesco ha problemi a tutti e 4 gli altri. Senza Ferrari va in categoria C: tetraplegici. Con, è meno probabile. Trent’anni fa, ai tempi della diagnosi della signora, le Ferrari non le avevano ancora inventate. Francesco schizza via salutando la signora dalla sua Ferrari: “Sayonara!”. Piange, le Ferrari costano troppo per le vecchie catorcie. Pagate le tasse.

I commenti sono chiusi.